Costume tradizionale
Il costume femminile di San Giovanni in Fiore è riuscito grazie al testardo orgoglio delle donne che lo indossano, a sopravvivere sino ai nostri giorni, fornendoci in tal modo un’ultima testimonianza diretta a suo riguardo, grazie alla quale è stato possibile riuscire a cogliere la penultima mutazione che ha caratterizzato nel tempo, questo vestito. Infatti tempo addietro il costume, realizzato con tessuti meno ricercati, era dotato di una gonna di lunghezza maggiore (quasi fino alle caviglie) rispetto all’attuale, così come pure le maniche del “curpiettu”, giungevano fino ai polsi e avevano le “mustre”, ovvero i risvolti più corti, e quelle della “cammisa” di uguale misura, erano chiuse da bottoni.
Non è possibile conoscere con certezza il motivo o i motivi che hanno generato queste mutazioni, forse una maggiore austerità nei costumi del tempo, o magari una maggiore asprezza del territorio che costringeva le donne a proteggersi in maniera più accurata. In ogni caso questo tradizionale vestito sotto l’apparente condizione di immutabilità , continua a subire ancora, delle piccole modifiche, la biancheria intima di un tempo (maglie, mutande, calze) ad esempio, è stata praticamente soppiantata da quella che viene offerta oggi giorno dai negozi, è possibile notare inoltre, una certa licenza nell’esecuzione dei ricami, nelle soluzioni sartoriali, e negli acquisti degli accessori, ad esempio una gonna chiusa da una fila di bottoni a pressione, e anche scarpe ortopediche dai morbidi plantari e dalle fogge più moderne. La cosa non può stupire più di tanto, dato che è perfettamente normale che anche queste donne, pur restando “aggrappate” in un certo qual modo al passato, abbiano subito il fascino del progresso, in nome forse, del nuovo ed apprezzato comfort.
Gli indumenti
Con il termine “cozunielli” viene indicato il mutandone indossato dalle donne al di sotto del costume, si tratta di una sorta di calzoncino a diretto contatto con la pelle, che giunge sino al ginocchio, questo un tempo poteva essere confezionato a secondo delle stagioni con varie stoffe: cotone flanellato e lana per l’inverno; cotone e lino grezzo per l’estate. Per quanto riguarda i colori di tali stoffe non si richiedeva una tinta particolare, anzi questa variava col variare della stoffa utilizzata. Grazie all’applicazione di pizzi o ulteriori strisce di stoffa i “cozunielli” venivano abbelliti e rifiniti alle due estremità inferiori. L’abbottonatura si otteneva principalmente in due modi, mediante l’applicazione di un bottone quando si voleva un’apertura laterale, e mediante laccetti su entrambi i fianchi quando era prevista una doppia apertura, oppure secondo un’adozione piuttosto recente con l’inserimento di un elastico in vita. Vi sono due tipi diversi di questo capo, uno più tradizionale che deliberatamente si evitava di cucire nella zona del cavallo (ciò per motivi fisiologici), e un altro interamente cucito che poi è quello maggiormente adottato dall’ultima generazione di donne che ancora indossa il costume.
La “lanetta” è la maglia che si ottiene sia con filo di lana lavorato ai ferri, sia col tessuto flanellato. In entrambi i casi si presenta con una profonda scollatura quadrata sul davanti, da cui parte un’apertura corredata da bottoni, ha una lunghezza totale che raggiunge il bacino e una manica che si ferma sul gomito. Durante l’estate, per via del caldo, le donne evitavano di mettere la “lanetta” ed indossavano direttamente la “cammisa”.
Le calze somiglianti a dei calzettoni che giungono sotto al ginocchio, sono fatte di lana, di colore blu o nera, lavorata ai ferri, sostenute dalle “taccaglie”, una sorta di giarrettiere rudimentali di vario materiale come filo, stoffa, e in epoche più recenti elastico di qualità e dimensione diverse.
Le scarpe solitamente indossate al di sotto del costume sono di pelle nera con un tacco medio – basso.
Il “camisuottu” è una sottogonna molto pesante, indossata dalle donne solo durante la stagione più fredda, una volta si confezionava con un tessuto di lana detto “frannina” ottenuto al telaio, il quale dopo aver subito una serie di trattamenti che avevano lo scopo di ammorbidire la stoffa, veniva tinto. Il punto vita di solito è segnato da un’arricciatura, che in alcuni casi può essere sostituita da “chijcuni” cioè piccole pieghe; l’abbottonatura laterale è formata da un unico bottone, mentre la lunghezza si ferma al ginocchio. Quando il clima non è molto rigido le donne indossano la “suttana” ossia una sottogonna del tutto simile a questo capo ma ottenuta con stoffe meno pesanti come lana più leggera, tessuti di flanella e cotone.
Il “cingiulinu” o “suttanina”
Questo indumento è una specie di sottogonna di solito ottenuta con un tessuto leggero di flanella, che si sovrappone alla “suttana”, la sua funzione è quella di garantire un maggior volume ai fianchi al fine di una migliore vestibilità della gonna.
Il “circhjiu”
Si tratta piuttosto di un accessorio utilizzato dalle donne più magre, ossia di un pezzo di stoffa, arrotolato su se stesso, che cucito nella parte terminale posteriore della “cammisola” conferisce la giusta ampiezza ai fianchi.
La “cammisa” è una sottoveste di lino o cotone, tessuti artigianalmente, di colore bianco, la sua lunghezza totale non supera il polpaccio, mentre le maniche giungono sino al gomito. La parte superiore in dialetto viene detta “scolla”, mentre la parte inferiore “mustu”. Dalla scollatura sia nella parte posteriore che anteriore, si aprono due spacchi detti “aperture”, quello sul davanti, che giunge all’altezza del seno, serve per indossare il capo con più facilità, mentre quello sul dietro, di uguale profondità, è stato concepito per lasciare maggiore libertà di movimento. Altro accorgimento è quello dell’inserimento degli “sciglieri”, cioè di pezzi di stoffa, che sotto le maniche hanno forma romboidale, e nella parte inferiore laterale hanno forma triangolare, questi servono per allargare e svasare tali punti, tale stratagemma un tempo era dettato, dalla necessità di andare incontro a quelle che erano le esigenze della donna, la quale dovendo praticare pesanti lavori domestici, e non solo, aveva bisogno di abiti che fossero comodi e soprattutto pratici. Un’altra particolarità di questo capo è data dal modo in cui va indossato, difatti, una volta che la “cammisa” viene infilata, la parte di stoffa che cade all’altezza del ventre, viene sollevata e fermata, con l’ausilio di una spilla da balia, in corrispondenza del seno, insieme all’estremità iniziale della scollatura, in questo modo grazie alla scollatura ben tesa, il ricamo della “‘ncollerata” applicato in questo punto, ha il suo giusto risalto.
“Gunnella” è il termine dialettale con il quale si indica la gonna del nostro costume. Questa può essere confezionata con stoffe di qualità e colori diversi, secondo dell’utilizzo che se ne faceva, difatti per le occasioni di festa era previsto l’uso di gonne colorate in raso, broccato in seta, e broccato operato, mentre per l’uso quotidiano erano destinate gonne in tinta nera di rasatello, cotone e flanella. Questo capo è caratterizzato da una ricca plissettatura costituita da 400 o 500 piegoline, di profondità ciascuna di quasi due centimetri, interamente eseguite a mano su una stoffa di larghezza di circa quattro metri e mezzo, corrispondenti in gergo a cinque “faure”. Questo era grosso modo, il tipo di lavorazione interamente artigianale, con il quale si otteneva questo capo: la stoffa una volta pieghettata per mezzo di punti e imbastiture, subiva un processo particolare per fissare definitivamente le piegoline, veniva cioè bagnata, poi fatta parzialmente asciugare e ancora umida sottoposta ad una pressatura per mezzo di grosse pietre (oggi sostituita dall’utilizzo del ferro a vapore) ed alla fine privata delle cuciture provvisorie. Le piegoline non venivano eseguite su tutta la superficie della gonna, poiché la parte centrale sul davanti veniva lasciata libera per evitare, una volta indossato il grembiule, un antiestetico rigonfiamento. L’abbottonatura costituita da un bottone è laterale, e sempre lateralmente sul lato destro viene lasciata un’apertura di trenta centimetri, avente il fine di far indossare senza difficoltà l’indumento, e di accedere al “cusciade”, un sacchetto – tasca di tessuto, appuntato al sottogonna per mezzo di una spilla da balia.
Il “sinalettu” cioè il grembiule, è quell’indumento che viene sovrapposto alla gonna, la cui funzione per quanto riguarda il costume è essenzialmente estetica. Anche in questo caso si hanno due versioni, quella di utilizzo quotidiano che solitamente è in cotone di tinta nera, è quella della festa che può essere in broccato, raso, misto seta e crespo presenti in tinte diverse, con l’aggiunta in alcuni casi, di un fiocco apposto lateralmente che dalla vita scende per tutta la lunghezza del grembiule. Questo capo è abbellito inoltre, dalla presenza di merletti, pieghe e balze.
Il “pettinu” o “trasparente”
Al di sotto della “cammisa” viene sistemato il “pettinu” cioè un rettangolo di stoffa di cotone sia bianco che colorato ricamato a mano, la cui funzione è quella di celare il seno e completare ulteriormente la composizione dell’intero costume. In caso di lutto il “pettinu” indossato è di colore nero e viene sistemato tra la “cammisa” e la “cammisola”.
La “cammisola” è un corpetto senza maniche a doppio petto, con profonda scollatura ovale, che giunge sino alla vita. Può essere confezionato con varie stoffe, quali velluto in seta, velluto operato, velato nero su stoffa colorata, velato colorato, e broccato cinigliato, rifinite ai bordi con una fettuccia chiamata “trena”. Tali stoffe vengono utilizzate solo per confezionare il davanti cioè la parte che si scorge al di sotto del “curpiettu”, mentre per il retro si usano stoffe di cotone o di lana, utilizzate anche come fodera per la parte anteriore. La “cammisola” presenta un’imbottitura all’altezza del seno ottenuta con quello che in gergo si chiama “guattu” cioè una specie di ovatta grezza, e all’interno, nella parte anteriore, si trova cucita solitamente una piccola tasca “buscetta” o “vurzettella”.
Il “curpiettu”
Questa è una giacchetta corta che oltrepassa di pochi centimetri il punto vita, può essere confezionata in velluto, velluto operato, velato, e saleschin, un tessuto che ricorda una pelliccia sintetica a pelo raso, usata esclusivamente per confezionare “curpietti” per sopportare il clima invernale. Si presenta imbottita sia sul dietro che sul davanti con lo stesso materiale utilizzato per la “cammisola”, ha due spacchetti laterali e altri due posteriori, per una migliore aderenza al corpo, è abbellito con “l’arcu” cioè un gallone variamente decorato (perline, paiette e altro) che riprende l’arcata delle spalle, sul davanti infine, nella maggioranza dei casi si notano due laccetti che vengono annodati sotto il seno. Le maniche si fermano all’avambraccio e sono dotate di profondi risvolti chiamati “mustre”.
Questo è il nome del copricapo, da cui generalmente prende il nome l’intero costume. Confezionato esclusivamente in lino ritorto di colore bianco, ha una larghezza di 30 centimetri per 125, si ottiene mediante un complicato lavoro di piegatura fatta a mano ed è fissato nella parte posteriore della testa per mezzo di uno spillone. Un tempo, quando la donna era colpita da un grave lutto, usava tingere il “rituortu” di nero che così assumeva il nome di “manniele”, se invece la condizione luttuosa non era così grave sovrapponeva al normale copricapo un velo nero definito “mannarella”.
La pettinatura con i “nurura”
La pettinatura è la caratteristica principale del costume. Si tratta di un’acconciatura piuttosto atipica che si ottiene dividendo la capigliatura in quattro parti, due delle quali vengono disposte sulle tempie, e le altre lateralmente sulla nuca. Le ciocche anteriori vengono intrecciate, attorcigliate, e annodate per mezzo degli stessi capelli, ottenendo in questo modo i così detti “nurura”; mentre le ciocche posteriori chiamate “jette”, vengono intrecciate in maniera piuttosto rada. Per fissare queste ultime si usano delle cordicelle di lana intrecciate, di solito in tinta scura, dette “gnettaturu” e “supragnettaturu”.